Una città, così come un paese od una via, la sia conosce a tappe. Succede un po’ come quando ci si veste a cipolla: prima si sa più o meno dov’è, poi ci si passa velocemente in macchina, poi magari ci si ferma perché si è visto un negozio od un bar. Ma è quando la si percorre a piedi, e più di una volta, che la si conosce davvero. Quando ci si ferma a parlare con la gente che la rende viva, e non rimane solo del cemento messo lì per far dormire la gente. E’ in questo modo che una sera una coppia ha conosciuto uno strano personaggio che apostrofava il proprietario di un bar prendendolo in giro per i pesci dell’acquario. Una battuta tira l’altra ed i tre presero l’aperitivo insieme felici di aver spezzato l’incantesimo di desolante mortorio che permeava come una cappa soffocante sul paese. Piccolo, magro, un po’ ingobbito più che dall’età dalle vicissitudini della vita, vestito di nero con un basco in testa ed occhiali azzurri alla moda appoggiati nel collo del maglioncino, parlava rilassato facendo sfoggio del sorriso accattivante che ben s’accoppiava con quei suoi occhi chiari e sfavillanti. Di famiglia operaia, primo di sei fratelli maschi, non si potè permettere un matrimonio in bianco “costa troppo, la fuitina è stata inventata per quello…”, si è aggrappato alla vita con grandi sacrifici: la moglie, i figli, il lavoro, l’università ripresa tardi, a 28 anni, ma finita “sono ingegnere termico, quello delle caldarroste…”, è solito dire, con solo qualche ora rubata agli impegni per pescare e svuotarsi la testa. E poi il lavoro che l’occupava sempre di più, la perdita della moglie con la separazione e quella della madre che è passata a miglior vita. Col secondo bicchiere sono arrivati anche gli aneddoti come quello della signora di alta società con cinque dame di compagnia a cui ha offerto due ore spensierate in compagnia sua e degli amici che le facevano da menestrelli perché aveva dato in beneficenza la lauta mancia per averle sistemato la caldaia o quello del plaid arrotolato nel cestino della bicicletta per non far capire lo scopo per cui era stato preso. Racconti di un mondo che non c’è più e che a volte riaffiora in serate come quella che lasciano spazio anche ai sogni: una fondazione a cui offrire il ‘disturbo’ per lavori estemporanei di vecchietti in pensione o la creazione di mini appartamenti per anziani soli nella casa che sta andando in malora proprio prima di piazza mercato, un lascito alle suore. Andate a trovarlo qualche sera nel bar di via Bossi, vi dirà di essere l’ingegner Piero De Luca: nonno Piero…
giovedì 27 maggio 2010
L’ingegner Piero De Luca: nonno Piero…
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