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perchè Rescaldina è un paese dormitorio?

sabato 29 maggio 2010

Dopo essere stato 18 anni attaccato ad un respiratore al nono piano dell' ospedale

“Guardo dalla finestra Saronno e rispolvero i miei ricordi. Un flash m’illumina la mente e mi rivedo a 3 anni quando, per mano a mia mamma, percorrevo Via Roma per andare a trovare il nonno. Ho fatto le elementari alla Ignoto Militi. Il gioco allora era per noi fondamentale. Fu proprio durante una partita di pallone in cortile che mia madre si accorse che cadevo spesso… Mi furono ingessate entrambe le gambe e non potevo camminare. Ripetei la terza a causa delle molte assenze. Quando andavo a scuola mia madre mi accompagnava con la bicicletta, io seduto sul sellino. Poi cominciai a calzare scarpe ortopediche. Avevo ormai quindici anni quando iniziai a frequentare la Bernardino Luini. La scuola era dietro la stazione e anche allora mia madre dovette accompagnarmi: c’era da attraversare il sottopassaggio con la discesa e la successiva salita... Dattilografia si svolgeva al piano superiore: i gradini erano montagne da scalare, l’aula la vetta da raggiungere. Negli anni dell’adolescenza la sera, seduti per terra, con le gambe appoggiate alla ringhiera, fantasticavamo: c’era il boom economico, a Saronno fiorivano molte ditte… ma le giornate mi sembravano vuote e senza un reale scopo: ciò che maggiormente mi mancava era un lavoro. Intanto era sempre più difficoltoso per me camminare. In casa utilizzavo una sedia da ufficio a rotelle. Per poter uscire la sera mi si doveva prendere sulle spalle; poi con la carrozzina ottenni una relativa indipendenza, visto che c’era sempre chi mi spingeva… Il 1981 fu l’anno internazionale delle persone handicappate. Purtroppo l’atteggiamento di molti verso queste persone era ed è di pietismo e commiserazione. Occorre capire che anzitutto si hanno davanti vere e proprie ‘persone’ con diritti e doveri che vanno rispettati. Quell’anno ci si concentrò sulla necessità di eliminare le barriere architettoniche in Saronno. Ci fu una mostra ed un documento che presentammo all’amministrazione comunale. Non mi considero uno scrittore e non voglio insegnare niente a nessuno. L'unico augurio, a chi legge queste pagine, è di poter conoscere parte di me…”. Sono stato da lui domenica mattina; m’è sembrato di vedere un pesce che boccheggiava a riva ma ancora respirava, ancora era attaccato alla vita. C’era una cartolina di Via Garibaldi ed una poesia su di lui: l’uomo dello scarpone che ha scritto ciò che avete ora letto condensato, ‘come in un album’… Gilberto Binaghi se n’è andato lunedì 17 alle 7 del mattino, pochi mesi dopo la morte della sorella, anch'essa malata del Morbo di Duchenne. Ciao Gil.

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