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SEI ENTRATO NEL BLOG DI MAURO

perchè Rescaldina è un paese dormitorio?

lunedì 31 maggio 2010

“Quando l’aereo sta per precipitare devi prendere in mano la cloche”

Siamo andati a trovare Giovanni Castiglioni un pomeriggio come tanti dopo una sua telefonata in redazione. Abita al terzo piano di un condominio nei pressi dell’ospedale, due particolari che, vedrete, avranno importanza. Ci ha accolti nel suo studio dove troneggiano una vecchia macchina da scrivere collegata ad un video e tanti libri, tra cui ci ha impressionato l’opera omnia di Freud: altri particolari che avranno importanza. Prima di parlare del suo libro, ha voluto sapere di noi, spiegandoci che anche lui è stato giornalista e, sentendolo, che giornalista! Ci ha interrotto la telefonata della segretaria di Antonella Ferrario che voleva prendere accordi per avere copie del suo libro che il sindaco di Ceriano voleva regalare ai suoi assessori. Vorremmo presentarvi il signor Castiglioni attraverso le sue stesse parole, da noi sollecitate: “il signor Castiglioni è un uomo speciale che ho avuto la fortuna di incontrare circa 7-8 anni fa senza mai incontrarlo ai tempi in cui ero compagna di liceo di suo figlio Mauro. E’ una di quelle persone che consideri un ‘puro’, il vero maestro di una volta. Persona educata, rispettosa, per nulla fredda anzi, vive con grande intensità affetti ed emozioni. Mi ha sempre colpito il suo stretto legame con la natura e le forti sensazioni che da essa scaturiscono. Nel suo ultimo libro forte è il richiamo all'uomo a rispettare la natura. In certi punti del testo si osserva un po’ di sconforto e di critica feroce verso  la medicina, la politica, ecc. credo che ciò possa discendere sia da esperienza personale che dal momento particolare che l'autore vive da qualche anno e che nella seconda parte del libro con grande coraggio viene ‘dato in pasto’ al lettore. E' straordinaria questa capacità di confrontarsi con l'incredibile malattia che lo ha colpito, denota una lucidità di analisi e di controllo fuori dal comune. Straordinario e fondamentale il suo desiderio di comunicare, è l'anima della sua stessa vita”. Il libro in questione s’intitola: “Saper leggere tra le righe della vita”. Il maestro Castiglioni ce ne ha regalata una copia pregandoci di leggerlo prima di scrivere l’articolo. Si tratta di acutissime riflessioni sui vari aspetti della vita introdotte da un suo motto con uno stile molto colloquiale, pieno di punti esclamativi e di caratteri maiuscoli. La Ferrario parlava di un’incredibile malattia: si tratta di mesioteloma maligno alla tunica vaginale di un testicolo causato dall’amianto a cui è stato sottoposto chissà quando e dove, malattia che le statistiche dicono abbia lo 0,0000000001% di probabilità di manifestarsi, tanto che, attualmente, si possono contare sulle dita di una mano le persone che, in tutto il mondo, hanno questo male. “Non possiamo nemmeno fare un club! – ha ironizzato il Castiglioni – siamo troppo pochi!”. E’ talmente incredibile la sua capacità di confrontarsi con la malattia che ci ha buttato là: “tra sei mesi molto probabilmente sarò morto ma non me ne frega” come se ci dicesse: “vuoi bere un caffè?”… Il mesioteloma occupa solo la parte finale del libro, dove si parla dell’importanza, quando l’aereo sta per precipitare, di prendere in mano la cloche e decidere della propria vita, della propria qualità di vita e, per farlo, di saper dire dei no, ma questo sempre fosse anche solo davanti all’ascensore... Dire di no, pensare, ragionare sui fatti quotidiani e sui massimi sistemi: questo è il ‘saper leggere tra le righe della vita’ del titolo. Come quando ragiona sui torti subiti nella sua professione di “maestro di campagna”, come lui stesso si definisce, o di quando gli furono sottratti i progetti di molta della pubblicità degli anni ’70 con cui voleva ottenere il successo ma che, dopo anni di ‘decantazione’ filosofica, forte degli studi freudiani, ha capito essere stata una fortuna. Nel susseguirsi dei motti parla anche, a suo modo, di religione e del perdono che sarebbe l’alibi dei malvagi, dell’uomo che torna ad essere un animale senza storia sul letto di morte e del tempo, nel cui grembo si trova il segreto della vita. Vorremmo lasciarvi così, avendo stuzzicato la vostra curiosità ma senza avervi dato molti elementi per soddisfarla per indurvi a comprare questo grande libro dalla misteriosa copertina raffigurante forse delle onde, forse dei riccioli, forse semplicemente un disegno astratto che sempre ricorre nelle sue opere con un colore sempre diverso. Questo è arancione, un colore che, nella cultura giapponese e cinese, è associato all'amore, alla gioia ed alla felicità, rappresenta la vitalità e ricarica chi è stanco…

Fabio Bernardinello, quando le equazioni differenziali diventano sogni!



Un’uggiosa mattina di settimana scorsa, la stazione della Bovisa,  il dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano, l’incredibile edificio Sesini che ti fa credere di essere alla Nasa: questi gli elementi di un tuffo nel passato personale ed in un presente sbalorditivo viste le differenze con qualche decennio fa. E poi loro, i ragazzi che, nei laboratori del Dipartimento di Meccanica (da dove per esempio il mitico prof. Diana fece uscire un brevetto mondiale sui cavi di alta tensione), partecipano al progetto “Dynamis-Polimi Reparto Corse” costruendo, con circa 14.000 euro e in ogni particolare, un prototipo di macchina da corsa di appena 200 kg che può percorrere da fermo i 100 metri in circa 4 secondi. La vettura, monoposto a ruote scoperte, ha come finalità quella di partecipare al campionato "Formula Sae”, la storica competizione di matrice universitaria, circa 400 team di tutto il mondo, che ha la caratteristica di far gareggiare le vetture in un clima che unisce gli aspetti di una competizione vera e propria (con 4 differenti prove dinamiche) a quelli di una “fiera automobilistica”, dove le varie università espongono i propri progetti all’interno dei rispettivi stand. Ecco alcuni dei ragazzi (i responsabili dei vari settori): si chiamano Gianmarco Picardi, layout manager, Diego Rosin,  responsabile sospensioni, Davide Frigerio, responsabile Powertrain, Matteo Parini, responsabile simulazioni dinamiche, Sebastiano Morone, responsabile ergonomia, Federica Inguscio, responsabile test ed organizzazione, Maurilio Fava, pilota, ed infine Fabio Bernardinello, responsabile sponsors e pilota. Con loro c’erano anche i responsabili di questo “Progetto Formula Student”: il Prof. Federico Cheli e gli ingegneri Francesco Braghin e Vincenzo D’Alessandro. Ogni ragazzo ha, come vedete, il suo spicchio di responsabilità a seconda della specificità degli studi e delle attitudini personali ma, parlando con loro nel ‘box’, la loro tana piena di pc, attrezzi e strumenti, abbiamo potuto notare un grande spirito di gruppo per cui le sinergie sono all’ordine del giorno. Quest’anno hanno corso a Silverstone, 16-19 luglio e poi sono stati alla gara di Varano de Melegari, da noi in Italia, ad inizio Settembre, dove hanno ricevuto i complimenti dei giudici per le innovative soluzioni tecniche presentate risultando essere, infatti,  la macchina d’acciaio più leggera,  ed anche per essere un team giovanissimo composto essenzialmente da ragazzi del terzo anno, alle soglie della laurea breve. In gara su pista non sono andati bene, ci diceva amareggiato uno dei due piloti, il saronnese Fabio Bernardinello: hanno rotto il motore  durante la prima gara ed il cambio in Italia, nella patria di Dallara Automobili, il maggior produttore mondiale di telai per auto da corsa del mondo che quest’anno si cimenterà anche in F1 con il team Campos Le rotture sono state causate comunque dalla messa a punto di una macchina che non era quella prevista per cause tecniche indipendenti da loro: in pratica in formula1 si direbbe che hanno dovuto correre con il muletto: “Eravamo qui a sistemarla dal mattino presto fino alle 9 di sera; ce ne andavamo semplicemente perché chiudevano…”. Adesso sono già all’opera per preparare la stagione 2010 nella quale la vettura subirà un ulteriore perfezionamento delle soluzioni sin qui utilizzate che saranno testate sulla in pista. E’ stato bello poter vedere negli occhi di questi ragazzi entusiasmo, passione, amicizia, cameratismo, cose che vanno enormemente al di là del semplice passare l’esame perché sono gli elementi con cui forgeranno le loro vite. E chissà se Fabio, che ha esordito con i kart all’età di 16 anni, un giorno potrà stringere la mano del suo mitico concittadino Roberto Colciago, plurititolato pilota Saronnese, vincitore nel ’90 del  Campionato Italiano F3 per poi diventare uno dei migliori specialisti italiani  di vetture Turismo vincendo nel 2002 il Campionato Svedese Turismo e nel 2006 il Campionato Italiano Superturismo.
Per chi volesse maggiori informazioni e per rimanere sempre aggiornati sulle vicende del team collegatevi all’indirizzo www.dynamisprc.it oppure scrivete afsae.polimi@gmail.com

Storia di Carlos, extracomunitario italiano…

Big Ben Bar di Via San Giuseppe, le 11 di sera. Piccola tappa per un caffè e per acquistare delle sigarette. Una rarità  a Saronno, dove dopo le 20 cala il silenzio. Eppure quel bar ha avuto il coraggio di tenere aperto la sera, oltretutto in un posto che in tanti definiscono ‘a rischio’: dopo le 17 cambia faccia partendo con un happy hour ed arrivando anche oltre la mezzanotte. Capitiamo spesso lì e spesso scambiamo due chiacchiere col barista che abbiamo imparato a  conoscere: Carlos. E’ stata proprio quella s ad incuriosirci ed a farci conoscere la sua storia. Il nonno ingegnere partì per il Perù a costruire ponti e dighe. A Lima è nato il padre di Carlos, anch’egli ingegnere, e Carlos stesso. Là Carlos era un extracomunitario ricco, che viveva nel ‘clan’ italiano dove gli hanno inculcato di non avere rapporti con la gente del posto. Poi la situazione politica in Perù cambiò, ci furono degli attentati ed anche la ditta della famiglia di Carlos cadde sotto la dinamite. Fu così che chiesero asilo politico in Usa e poi si dissero che dopotutto erano italiani perché non tornare in Italia? E così fecero venendo a  Saronno dove già stava uno zio musicista. La vita di Carlos è stata poi anche abbastanza burrascosa, ma questo appartiene al suo privato ed è giusto che lì rimanga. Ciò che invece ci piace rendere pubblico è la sua risposta alla nostra domanda su cosa pensa, dal suo personale osservatorio così particolare, del problema extracomunitari a Saronno ed in generale: “Vedi, anche se mi è stata inculcata una certa mentalità, io sono stato sempre uno spirito libero. Conosco quattro lingue ed ho sempre avuto rapporti con tutti spinto dalla mia passione per le donne… non so se mi spiego. Io non tollero certi comportamenti, ma nemmeno che a certi comportamenti venga messa un’etichetta perché sbagliato è il comportamento non la nazionalità della persona che lo compie…”.

Un pomeriggio di ordinaria follia… in posta L’incubo del numero P228

Hai appena mangiato, stai per bere il caffè ed ecco che ti ricordi: c’è da passare in posta a ritirare una raccomandata. Guardi l’ora: le 13:50. Pensi: “è presto, a quest’ora non ci sarà nessuno in posta, meglio andarci subito tanto devo essere al lavoro alle 15 in un paese vicino”. Finisci il caffè e ti avvii. Arrivi in posta, prendi il tuo biglietto: P234, alzi gli occhi e guardi i led luminosi con il numero servito: P228. Pensi: “perfetto, ne ho solo 6 davanti, 10 minuti e sono fuori”. Allora guardi distrattamente il reparto con libri, dischi, articoli regalo. Ti soffermi su di un paio di titoli. Poi torni e guardi ancora i numeri: P228, ancora lui. Guardi allora il signore davanti alla postazione: è un extracomunitario ed ha un sacco di pacchi. Lo senti discutere con l’operatore. Intanto ti siedi, avvilito. Guardi l’ora: le 14,10. Ecco che arriva un’altra operatrice che spiega cosa dovrebbe fare il signore. Lui, calmo, comincia a farlo. Attorno a lui vedi altre persone con i biglietti in mano che cominciano a spazientirsi. “Ma non può mettersi qualcun altro agli sportelli?”. Dopo poco arriva un’altra operatrice, ma si capisce che fa qualcosa che non fa abitualmente… P229… Passa ancora del tempo. Arriva un operatore da dentro: “io non c’entro con la sportelleria…”. P230. la gente comincia ad alzare la voce: “perché a questo sportello c’è scritto aperto ma non c’è nessuno?” “Dove sono gli altri?” “Voglio parlare col direttore!!!” L’operatrice è pallida, suda. Poi esce, chiama il direttore. Il direttore arriva: “come fareste voi se aveste un sacco di personale in malattia?” “Sono affari suoi, è lei il direttore!!! “Io abito in Via Volta, è da una settimana che non arriva il postino. Sono abbonato a giornali e riviste, ma non ricevo nulla…” “Aspetti, le chiamo il responsabile del reparto”. Arriva il tipo che prima diceva di non entrarci per niente, questa volta è gentile, spiega al signore che il suo postino è in infortunio, che provvederà a fargli avere la posta. P231. P232. Non c’è, se ne sarà andato. P233. Non c’è più nemmeno lui. Ecco, forse tocca a te. Prendi il tuo numerino, lo mostri, porgi anche il foglio della raccomandata, firmi. Apri la raccomandata. “Cazzo, niente d’importante…”. Esci e ti senti libero, leggero, come chi è uscito da un incubo. Guardi l’ora: le 14,45. Si, forse arrivi anche in orario. Ti avvii alla macchina ed intanto pensi: “Ma se dovessi dare un titolo a questo articolo cosa metterei? Un extracomunitario blocca la posta o le poste riescono ad andare in crisi per quattro pacchi? Perché il soggetto fa la differenza…”. Allora ci ripensi e scrivi: “L’incubo del numero P228”.                                                       

Incontro con Salvatore Scravaglieri, l’uomo sandwich di Corso Italia Matto o profeta?


Chi, passeggiando sul Corso Italia, non ha mai visto quest’uomo urlare a squarciagola frasi apparentemente senza senso con dei cartelli ‘a sandwich’, un succhiotto o magari un sombrero?
Soprattutto la prima volta, chi lo vede si da di gomito indicandolo e portandosi il medio alla tempia per poi non farci più nemmeno caso non avendo tempo o forse nemmeno voglia di accontentare i ma, i però e i perché che si affacciano alla loro mente. Solo i bambini continuano a divertirsi al suo passaggio.
Chi dice di conoscerlo lo dipinge come un furbo matricolato che si fa beffe delle istituzioni sociali della città vivendo alle spalle dei contribuenti.
Si chiama Salvatore Scravaglieri, è un ex operaio che svolgeva anche una certa attività sindacale all’interno della fabbrica, vive nel quartiere Prealpi.
E’ su di una panchina di Via Carlo Marx che lo abbiamo trovato intento nella lettura di un libro e ci siamo fermati ad intervistarlo colpiti dal contrasto di quell’immagine seria e ‘normale’ rispetto a quelle cui c'eravamo abituati sul Corso Italia.
Ci ha detto di definirsi “ferro ignorante” a disagio che ha cominciato, molto tempo fa, dall’incontro con persone che operavano nel volontariato e quindi con realtà di fraternità, di solidarietà e di condivisione, ad intraprendere, seppure a tentoni, un suo cammino, un suo ‘pellegrinaggio’ interiore verso “la luce”, verso cioè un incontro tra universale ed individuale che troverebbe la sua massima sublimazione nel sacro.
Uno dei suoi numerosi cartelli affermava che “la mia arte è portare il divano di Freud in piazza” per dimostrare, ci ha spiegato, che si può superare il disagio esprimendo il proprio essere, la propria libertà, tutta la propria personalità non senza un certo autogoverno, un certo rispetto delle individualità altrui.
Certo tutto questo non lo fa secondo i canali classici, non è certo politically correct, agisce attraverso continue provocazioni che tra l’altro usa anche per superare la paura del giudizio degli altri, che probabilmente, ci ha detto, è una delle maggiori fonti di disagio.
Il divertimento che scorge nei bambini, il suo vero pubblico privo di preconcetti a suo modo di vedere, lo aiuta a superare l’indifferenza e la nomea di ‘matto’ che lo circonda.
Ma allora, in definitiva, chi è Salvatore Scravaglieri?
Un matto od un profeta?
O tutte due le cose?
Mah…

domenica 30 maggio 2010

Domenica 30 gazebo in piazza per le firme del referendum Perché l’acqua è un bene comune

I gruppi consiliari di minoranza, domenica 30, nella piazza principale del paese, erano presente con un gazebo a raccogliere firme per un referendum perché l’acqua torni ad essere di tutti essendo un bene primario universale mentre invece, ci diceva Andrea Furlan, esponente di “Uniti nel Centro Sinistra per Turate”, attualmente le leggi italiane vigenti trasformano l’acqua in una merce che può quindi generare profitti ad investitori privati. La campagna referendaria è partita a livello nazionale lo scorso 22 Aprile. “Liscia, gassata o pubblica? – ha proseguito il Furlan - è i nostro slogan perché la gestione dell’acqua non può essere regolata da logiche diverse dall’interesse esclusivamente pubblico fondato sul controllo e la partecipazione dei cittadini. E’ una cosa troppo importante, ecco perché c’è tutta l’opposizione in calce a questa iniziativa”. “Ma vedo che sotto il gazebo ci siete solo voi…”. “Dici che gli altri prima si sono fermati al bar per un bianco?”. “Ci sarà anche una serata a sostegno del referendum ho letto sul volantino…”. “Si, venerdì 11 Giugno alle 20:45 in sala consiliare. Ci sarà anche Roberto Fumagalli, vicepresidente del comitato per il contratto mondiale sull’acqua, Mario Clerici, esperto in materia di risorse idriche e l’onorevole Chiara Braga, membro della commissione parlamentare Ambiente, territorio e lavori pubblici. Coordinerà Legambiente Tradate”.

sabato 29 maggio 2010

A colloquio con Isabella Avati Nasce l’associazione “Scacciapensieri”

“Mi piacerebbe dare una svolta alla mia vita, prenderla in mano e trasformare poco alla volta le cose che mi piacciono in un lavoro, quantomeno in un hobby…”. Sono parole di   Isabella Avati, 27 anni, impiegata saronnese che ha cominciato a passare dalla teoria alla pratica sfruttando le sue conoscenze in ambito turistico e dando vita ad un’associazione: “Scacciapensieri”, insieme per viaggiare, imparare e gustare.  In pratica si tratta di semplici gite fuoriporta che però andranno alla scoperta di antichi borghi e delle relative realtà artistiche e culinarie tra cultura e divertimento, un modo per fare turismo intelligente lontano dai soliti viaggi organizzati in posti esotici per evadere dalla vita di tutti i giorni. Qualche esempio? Grazzano Visconti (il 27) e poi l’antico borgo dei magli (Bienno, Bs), uno dei borghi più belli d’Italia, Piona e Gravedona, tra abbazia e lago, la leggenda Inca a Brescia, una giornata sulla neve e sul trenino rosso del Bernina. Info: asso-scacciapensieri@libero.it  http:// scacciapensieri-isa.blogspot.com/ 3453302077.

Incontro con il giovane pittore barlassinese Thomas Berra: un anticonformista all’antica

Su YouTube alla voce “Why not contempory art” sono visibili due filmati realizzati nella spettacolare location dello studio fotografico “Studio White” di Milano dove si vede Thomas Berra realizzare un quadro a suon di musica, fare quindi del “Live painting”. L’opera, che potete ammirare anche qui di fianco, è un trittico di grandi dimensioni che rende bene l’idea della forza espressiva di questo artista 23enne ma con all’attivo numerose mostre in gallerie e spazi pubblici. L’idea dell’evento è partita da tre giovani del mondo della comunicazione: Claudio Costa, Cris Nulli e Giovanni De Peverelli che hanno riunito attorno a Thomas molti altri creativi: art directors, accounts, grafici, media buyers, giornalisti di Milano e dintorni. Noi abbiamo incontrato Thomas nello studio di Barlassina, a casa della nonna, dove può disporre degli ampi spazi necessari ad esprimere la sua arte che si espande a macchia d’olio dal seminterrato ai piani superiori fino al ‘salotto buono’ dove la nonna si gode la sua “numero uno” di ragazzino tredicenne che voleva rappresentare il sole sul fondo del mare. Con lui c’era il fratello che ci ha intrattenuto mentre Thomas arrivava da Milano dove abita in un monolocale in affitto del quartiere cinese, affitto che andava a pagare uscendo poi con noi perché era già in ritardo… una cosa normale ma alquanto strana visto che il fratello invece è andato “in negozio” come lo chiama lui, Euronics come lo chiamiamo noi… Thomas fa di cognome Berra, suo padre Paolo è il procuratore di quel ‘negozio’ dove per la prima volta abbiamo sentito parlare di Thomas con l’amico comune Flavio Gioia, batterista che lo conosce da quando anche lui suonava. In effetti, di arte e ‘negozio’ è intrisa tutta la famiglia compreso il nonno ottimo pittore dilettante ed è quindi per loro naturale destreggiarsi nelle varie sinergie che questi due elementi possono creare. Ma sia Thomas che suo fratello (una via di mezzo tra Thomas e loro padre se ci passate il termine) non danno certo l’impressione, come sarebbe potuto essere, dei figli di papà viziati e coccolati. L’impressione nostra è stata di una famiglia molto unita, diremmo quasi all’antica (da qui il titolo) e con i piedi per terra che ha saputo sostenere l’ispirazione del ragazzo senza volerlo per forza inserire ‘dietro il bancone’ perché sa che è con la creatività e la fantasia che si va avanti in qualsiasi campo magari facendo uova perfette con una bomboletta spray (che a volte Thomas usa nei suoi dipinti). Ormai Thomas ha superato le 450 opere (tutte numerate e catalogate per volere di papà Paolo) e decine di queste erano dove l’abbiamo incontrato, accatastate su di un ottimo parquet, che parlano di una costante evoluzione alla ricerca di uno stile proprio che comincia a delinearsi anch’esso pieno di sinergie ed accostamenti e rivisitazioni: dai colli di Modigliani alle opere di Andy Warhol con un uso prioritario dei colori fondamentali: forti, vivi, estremamente dinamici che parlano dell’uomo immerso nella metropoli che cerca di non esserne soffocato ma lotta ancora alla pari ed ecco allora i tocchi anche figurativi e metafisici delle ultime opere. Chissà, forse un giorno troverà la sua strada definitiva e poi magari stenterà a farsi riconoscere per altre cose che vorrà realizzare, cosa che peraltro già succede adesso… In gergo sportivo si scrive e si dice “questo Milan” o “questo Inter” perché esprime la squadra di quel momento, con i giocatori che spesso cambiano; dovrebbe essere semplice capire che al posto di una squadra si può inserire anche una persona senza darle per forza delle etichette. Forse è questo che ha già trovato Thomas: evolversi continuamente nel mondo artistico ma non solo senza fossilizzarsi su di un’etichetta, o su di un nome…

Tutto ‘il mondo di Annah’ Galoppo…

Al Carrefour di Limbiate per Adricesta Onlus Anna Galoppo, i “Mad4fun” ed i sosia in spettacolo

Un centro commerciale è un grande contenitore, un piccolo mondo di plastica da girare con un carrello in mano consumando un po’ di vita in mezzo a tanta gente rigorosamente in coda dove tutti fanno le stesse cose ma nessuno si parla. Come per un computer, ha degli input in ingresso e degli output in uscita. Sabato 25, a Limbiate, è stato dato un input diverso: è stato allestito un palco dov’è andato in scena uno spettacolo di beneficenza. Protagonisti Anna Galoppo ed i suoi “Mad4fun” che si sono esibiti con artisti particolari: i sosia di Vasco Rossi e Mr. Bean, di Ricky Martin ed  Antonio Banderas, di Michael Jackson e Renato Zero. Così le persone che si sono accalcate dietro le transenne hanno potuto ammirare i balletti di Federica, Rebecca, Greta, Alessia, Serena ed Ivanir e le esibizioni di personaggi famosi che però nella realtà di tutti i giorni si chiamano Guido Piazzi, Gabriele Radaelli, Pierluigi Rozza, Sergio Barbaro, Andrea Imparato e Giuliano Colombo. La Galoppo, vulcanica ed eclettica come sempre, era presente nella doppia veste di coreografa delle ragazze e… sosia di Maria Teresa Ruta. Il tutto è stato organizzato a favore di “Adricesta Onlus” e del suo progetto “un sogno in corsia”, premiato anche dalla Presidenza della Repubblica, che si propone di realizzare i sogni ed i desideri di piccoli pazienti ricoverati nei reparti pediatrici facendoli stare anche a contatto con la loro realtà attraverso sofisticate attrezzature multimediali perché possano affrontare al meglio la malattia sviluppando anche un rinnovato entusiasmo per la vita. Il messaggio dello spettacolo è stato quindi un messaggio di speranza, di condivisione, di dialogo; un modo per dire che insieme si può affrontare meglio la vita, per sottolineare l’importanza dei sogni e degli ideali, per dire che tutti noi possiamo essere, nel nostro piccolo, dei personaggi famosi, un invito ad essere protagonisti della propria vita e non solo a consumarla e a mitizzarla. Anna Galoppo, alias  Maria Teresa Ruta, ha presentato questo spettacolo, ha dato questo input, ci piace pensare che il suo messaggio sia uscito anche in output…

Il candidato delle sinistre vince il ballottaggio Porro sindaco di una città di destra




Luciano Porro è il nuovo sindaco di Saronno. Marco Strada, che è un politico ma anche un poeta dell’ “Isola che non c’è”, tutto preso dalla frenesia della vittoria delle sinistre, ci ha scritto: Sia dunque lode ai saronnesi audaci che sgominaron le rapaci destre di Tramacere, Lega e Marzorati”… Ma saronnesi audaci fa davvero rima con Marzorati? Noi, uscendo di metafora, non lo crediamo. Ha ragione Raffaele Fagioli quando dice che Saronno è una città politicamente di destra, e lo dimostra la schiacciante vittoria di Formigoni anche a Saronno. Se a Giugno dell’anno scorso c’era stata la contraddizione di Porro sindaco e maggioranza di destra, stavolta c’è questa contraddizione. Ma allora perché Porro sindaco, al di là dei meriti suoi, di quelli del Pd e di tutta la coalizione? Perché il Pdl saronnese ha fatto la fine dell’Inter che sta perdendo un campionato già vinto, che solo lui poteva perdere. Innanzitutto perché c’è stata la spaccatura al suo interno con la fuoriuscita di Gilli e della Renoldi che ora siederanno all’opposizione sotto la bandiera di Unione Italiana e, al momento del ballottaggio, hanno coraggiosamente ma anche molto coerentemente resistito alle pressioni e non si sono ‘ricordati da dove vengono’ lasciando i propri elettori liberi di decidere secondo coscienza su chi votare. Ma perché questa spaccatura? Perché all’interno del Pdl hanno continuato a dettar legge i personalismi, le lotte intestine, la supponenza di chi si crede forte e vorrebbe fare il bello e il brutto tempo in qualsiasi occasione spartendosi la mitica torta. Ed anche la Lega ha avuto la sua spaccatura… Poi c’è stato anche l’uso di vecchi slogan ormai logori come la paura del comunismo, degli extracomunitari e la voglia di sicurezza, senza capire per esempio che la gente non esce di sera non perché c’è il coprifuoco di quattro extracomunitari che magari qualche volta fanno un po’ di casino, ma perché nessuno o quasi tiene aperto, perché nella piazza centrale per esempio al posto di un grande bar e di tavolini c’è un supermercato, perché ormai non ci sono più fabbriche in città e moltissimi saronnesi vanno a lavorare fuori. Un altro motivo è l’accozzaglia degli alleati che in pochi hanno capito, come Vito Tramacere e la sua Saronno si-cura che l’anno scorso li ha affondati e quest’anno appoggiati insieme a Dario Lucano e guarda caso hanno visto più che dimezzati i loro voti. E poi anche Michele Castelli, l’uomo che ha organizzato pellegrinaggi in pullman ad Arcore, un banchetto in stazione ed andava in giro con un pulmino verde che è passato dal reclamizzare il suo pub a reclamizzare Marzorati non li ha certo aiutati. Che altro? Forse anche Marzorati stesso non era il candidato ideale perdendo sempre i confronti diretti con i due avvocati Proserpio e Gilli e con lo stesso Porro, seppure anche lui medico di base, e nella stessa via oltretutto… Porro invece ha potuto contare sull’appoggio di Proserpio e della sua squadra giovane, dinamica e tecnologicamente all’avanguardia anche se, col senno di poi, se fosse entrato da subito insieme a Porro forse non ci sarebbe stato bisogno di ballottaggio, lo slogan tanto sbandierato da Tramacere ma non solo. Nel suo discorso alla Piccola Capri, alla festa per la vittoria, Porro lo ha omaggiato ricordando la costituzione, ‘cavallo di battaglia’ di Tu@Saronno. Su tutte queste cose Porro, passata l’euforia della vittoria, dovrà riflettere e a lungo  perché la sua vittoria non sia una vittoria di Pirro e Saronno cambi davvero mentalità politica, visto dal suo punto di vista naturalmente, e non rimanga una città dormitorio vecchia e stanca con tante persone che vivono sole, tanta voglia di protagonismo ma a volte con poco costrutto, tanto bisogno di esprimersi come crocevia di quattro province ma anche con tanto provincialismo. E deve avere anche l'umiltà di accettare e capire suggerimenti e critiche…

A colloquio con l’assessore Morandi Dal signor D. a Camilla passando attraverso la crisi

Ricordate il signor D. e la sua casa, una storia di degrado ed abbandono? Siamo tornati in quel cortile di Via Trieste, in pieno centro storico di Caronno. Forse anche il ragazzo ricco della canzone di Gaber sarebbe stato contento anche se non si vedevano tutte le cose  pronte per il suo futuro. Anzi, a dir la verità, la casa era più spoglia dell’altra volta ma la situazione igienico-sanitaria era decisamente migliore e, dalla finestra, il signor D. ci diceva dello scaldabagno, dell’acqua, delle prese nuove, del fatto che vorrebbe mettere un divano al posto del letto, un armadio per i vestiti, un altro armadio a muro in una piccola nicchia e, soprattutto, che vorrebbe tanto le pareti pitturate di fresco, magari di giallo. Aveva la barba fatta e gli occhi pieni di sogni… Siamo tornati in quel cortile di Via Trieste dopo aver parlato con l’assessore Mario Morandi del Settore Promozione della Persona, Famiglia e Società nella sede di Via Adua che ci ha raccontato delle difficoltà avute in questo caso, di essere sempre stato in contatto con gli operatori  del Cps di Saronno, dove il signor D. è in cura, e dell’intervento del fratello che vive in Spagna che si è impegnato a sanare la situazione abitativa. Se per il signor D. la situazione è decisamente migliorata, per Camilla diremmo che non ci sono novità: alla fine del mese il signor Giorgio terminerà il suo contratto e non ci sono le condizioni per cui possa essere assunto, né dal comune per via della nuova finanziaria né da un’associazione per le difficoltà in cui versa. Nel frattempo, ci diceva l’assessore, si sta procedendo ai colloqui con altre persone socialmente utili per poterlo sostituire nel migliore dei modi. Per quanto poi riguarda il problema dei trasporti, il Morandi ci ha riferito che il comune accompagna tutti i disabili che hanno impegni scolastici giornalieri e che fa il possibile per venire incontro anche ad altre esigenze contingenti compatibilmente con questi impegni. Nel caso in cui non potesse far fronte alle varie problematiche, si rivolge al volontariato, nella fattispecie alla locale Auser. Due cose ci sono apparse poi importanti della ‘carrellata’ che ci fatto relativamente ai servizi dell’assessorato: il fatto che i servizi offerti ai disabili sono interamente gratuiti e che la crisi sta portando nel suo ufficio soggetti nuovi che cominciano ad avere difficoltà sempre più importanti anche se “sarà tra qualche mese, quando le varie ‘riserve’ finanziarie finiranno, che questo problema esploderà”. La visione globale dei problemi ci fa vedere le cose da un punto di vista migliore e, probabilmente, anche più obiettivo, ma, quando le luci su Caronno si spegneranno questa sera, ci sarà un ragazzo solo in un monolocale a dormire su di un materasso poggiato a terra ed una bambina in una casa decisamente più bella dove la madre spingerà una carrozzina fino alla cameretta e poi difficilmente potrà guardare dalla finestra con gli stessi occhi che aveva oggi il signor D... 

Proseguono le disavventure di Camilla Camilla: perché? Che fare?

Sono tanti gli interrogativi che si pone e ci pone la signora Anna,  mamma di Camilla, ragazzina di 10 anni disabile al 100%, di cui vi abbiamo recentemente parlato. In primo luogo: “Perché Camilla sta male?” Sembrerebbe un assurdo, un enorme controsenso, una stranezza inaudita ma Camilla, pur essendo, lo ripetiamo, disabile al 100%, non ha una patologia: nata sana, s’è ammalata a sei mesi, presumibilmente dopo una vaccinazione, ma nessuno sa cos’ha di preciso, la signora Anna attualmente sta ancora aspettando gli esiti degli esami fatti all’inizio dell’inverno e intanto, com’è logico, pensa a tutte le varie possibilità, compresa la possibile ma non certa ereditarietà o famigliarità della malattia soprattutto per quanto riguarda in primis l’avvenire dell’altra figlia. Cos’ha Camilla? Perché s’è ammalata? Cosa comporta questa malattia? Può ulteriormente peggiorare o, chissà, può viceversa migliorare? E’ qualcosa di ereditario e raro per cui potrebbero ammalarsi anche eventuali figli della sorella di Camilla? E poi, cosa posso fare di più io? Tante sono le domande che affollano la mente della madre che, intanto, deve combattere, come tutti, con la quotidianità. La quotidianità di questa famiglia è il pulmino del comune che vedete in foto che tutti i giorni porta Camilla ed altri due ragazzi a Castiglione Olona e a Vedano Olona, all’istituto “La nostra famiglia”, dove si ferma anche Camilla. Con l’autista c’è sempre anche un’altra persona, un accompagnatore, il signor Giorgio a cui però ad aprile scade il contratto triennale per persone in mobilità, contratto che non verrà rinnovato perché comporterebbe la sua effettiva assunzione alle dipendenze del Comune. “Camilla però è ormai abituata a lui che sa come prenderla, come calmarla, come distrarla. Cosa succederà adesso? Chi metteranno al suo posto? Qualcuno che fino ad ieri ha fatto tutt’altro lavoro per cui non ha la sensibilità e le capacità necessarie per stare con dei disabili? Tremo già all’idea…”. Che fare allora? “E quando Camilla dovrà fare delle visite, nel caso in cui il Comune si renderà disponibile, cosa succederà? Ma il Comune poi si renderà disponibile o farà come l’ultima volta che ha comunicato il venerdì sera il suo diniego quando la visita di Camilla era fissata per il lunedì mattina?” Noi non lo sappiamo, ma abbiamo stralciato queste frasi dal sito del comune: “Il settore Socio Assistenziale si prepone di attuare quegli interventi volti a garantire la qualità della vita, pari opportunità e non discriminazione dei diritti di cittadinanza. Le azioni concrete si dirigono per eliminare o ridurre le condizioni di disabilità, di disagio individuale e famigliare, le difficoltà socio-economiche. […]  Trasporto - Il servizio si rivolge in modo particolare ai minori disabili, ma anche ad anziani non autosufficienti e ai disabili. Consiste nel trasporto da e verso le strutture ospedaliere o specialistiche in occasione di visite e terapie. Il servizio è interamente a carico del Comune nel caso dei minori”…

Cosa succede quando si dipende dagli altri per muoversi Storia di Camilla, disabile

Camilla è una ragazzina di dieci anni, disabile al 100%. Si muove con una carrozzina che pesa come lei: 25 kg. Ha anche altri problemi, tra cui i denti e le gengive. Lunedì 2 doveva fare una visita specialistica appunto per questo problema ma ci sono stati dei problemi con i servizi sociali ed oltretutto nevicava, ricordate? Fattostà che la visita è stata rimandata di tre settimane grazie all’intervento della pediatra che conosceva l’urgenza della prestazione, altrimenti il rinvio sarebbe stato di tre mesi. Ne abbiamo parlato con la madre, la signora Anna, in una fredda mattinata di pioggia.  La vita di tutti noi è cadenzata dagli spostamenti, ma cosa succede quando hai problemi anche per muoverti all’interno della tua casa e dipendi dagli altri? Sono cose a cui si pensa sempre quando succedono a noi o a qualcuno dei nostri cari eppure sono problemi enormi, a volte insormontabili, a volte risolvibili solo con grandi sacrifici, grande abnegazione e, diciamocelo, grande amore. E’ la storia di Camilla e di sua mamma Anna che chissà quante volte ha spinto quella carrozzina, chissà quante volte s’è fatta aiutare anche dalla nonna di Camilla o da chi per essa per poter scendere le scale della stazione con Camilla o per andare in farmacia, ai giardinetti o, più semplicemente, a fare un giro. Il comune ed i suoi servizi sociali le hanno dato una mano ma i mezzi sono limitati, il personale scarso e, a volte, nemmeno competente: “le facce cambiano sempre ed io debbo per forza fidarmi di tutti, incrociare le dita, cercare di non pensarci. A scuola la portano con altri due ragazzi, ma spesso li trattano come un pacco postale da portare a destinazione. Una volta ho trovato Camilla sul sedile posteriore della macchina del comune senza cintura di sicurezza, sola ed ho tremato. E per la visita di lunedì si sono tirati indietro, l’ho dovuta rimandare. Sembra che c’erano altre priorità… In stazione poi devo prenotare ma non so nemmeno come, a chi, lì non c’è nessuno”. Già la stazione di Caronno è automatizzata, i biglietti si fanno tramite una macchinetta ed una carrozzina può essere fatta salire sul treno facendolo passare dal primo binario dove può accedere tramite una porticina chiusa a chiave perché altrimenti sarebbe causa di problemi di sicurezza. Certo, la signora Anna, pur dando mostra di grande coraggio e volontà, era alquanto ammareggiata e bisognosa si sostegno, di sicurezza, di tranquillità. Sembrerà strano, ma i servizi sociali non sono obbligati ad assicurarle un servizio di trasporto anche se fanno quello che possono con i mezzi che hanno. E’ triste, ma abbiamo ad esempio il diritto allo studio ma come arriviamo alla scuola è affar nostro. Spesso è una cosa assolutamente normale anche se i trasporti sono un problema per tutti tanto che scuola e viabilità rappresentano un nodo cruciale dei problemi di una città, ma, a volte, è un problema grande come una casa, così come lo è qualsiasi altro spostamento che implica un minimo di sforzo fisico. Come per Camilla, ragazzina di dieci anni, disabile al 100%, seduta da sempre su di una carrozzina…

La casa del signor D., storia di degrado ed abbandono

Gaber avrebbe detto: “l’altro giorno mio papà m’ha portato sulla collina e m’ha detto: guarda!... basta”.  Basta perché non c’erano tutte le cose che il ragazzo ricco poteva vedere sulla collina pronte per il proprio futuro. Anche a noi, domenica scorsa, in un cortile di Via Trieste, in pieno centro storico di Caronno, ci hanno detto: “guarda!” e non abbiamo visto niente. Alla fine di una scaletta diciamo provvisoria siamo entrati in un monolocale con bagno: non c’era la finestra e nemmeno le persiane, al loro posto c’era un vuoto coperto da due coperte con lo shoch; non c’era un armadio né una cucina, ma nemmeno un fornelletto, al loro posto sacchi neri che forse contenevano dei vestiti e, su di una sedia, del patè di tonno, del pane per i toast, una bottiglia d’acqua ed una beck’s vuota; non c’era la luce, al suo posto, sul soffitto dove l’intonaco è caduto, una lampadinetta che forse andava bene anche per una torcia e delle candele su di un tavolo; non c’erano scaffali, librerie, tavolini, ripiani, al loro posto, sparsi sul pavimento, due portacenere e dei deodoranti vicini ad un tenerissimo albero di Natale; non c’era un letto, un comodino, una aba-jour ma una brandina con delle coperte buttate sopra; non c’era un bagno come lo si immagina di solito ma tutti i sanitari intasati, incrostati, ruggini, pieni di urina il cui odore acre permeava nauseabondo nello stretto locale. L’urina pare abbia fatto delle infiltrazioni tanto che il muro del soffitto sotto presenta una macchia giallognola, l’intonaco si sta gonfiando e la signora che sta nell’appartamento di cui forse riuscite ad intravedere la porta esce tutti i giorni con la candeggina per cercare di disinfettare. Questo è il luogo in cui vive quello che vorremmo chiamare, parafrasando Gaber, il signor D. Il signor D. ha 35 anni, un fratello gemello in carcere, la madre in Spagna, Denise, la ragazza, e Vicky, la figlioletta che il 21 Gennaio compirà 6 anni, sparse chissà dove tra comunità e affido, una pensione di poco più di 200 euro a causa di un’invalidità per problemi psichiatrici, schizofrenia, e forse qualche spinello retaggio del passato e qualche centesimo recuperato alla stazione elemosinando. E’ questo tutto ciò che ha. Nemmeno i vicini che, di fronte a tutti questi problemi e pericoli (e se quelle candele prendessero fuoco?) dovrebbero avercela a morte con lui, ne hanno il coraggio ma ci hanno chiamato perché denunciassimo questa situazione limite che perdura e chiedessimo a chi di dovere di intervenire perché “anche lui è una persona umana ed ha diritto a vivere decorosamente”. E’ quello che noi facciamo senza aggiungere nient’altro anche perché sarebbe fin troppo facile, davanti ad un simile scenario, attaccare i servizi sociali che, ci hanno raccontato, gli portano i pasti dal lunedì al venerdì lasciandoli sul pianerottolo ed andandosene. Ci sono senz’altro, ci devono essere, spiegazioni ad un simile degrado.

Dopo essere stato 18 anni attaccato ad un respiratore al nono piano dell' ospedale

“Guardo dalla finestra Saronno e rispolvero i miei ricordi. Un flash m’illumina la mente e mi rivedo a 3 anni quando, per mano a mia mamma, percorrevo Via Roma per andare a trovare il nonno. Ho fatto le elementari alla Ignoto Militi. Il gioco allora era per noi fondamentale. Fu proprio durante una partita di pallone in cortile che mia madre si accorse che cadevo spesso… Mi furono ingessate entrambe le gambe e non potevo camminare. Ripetei la terza a causa delle molte assenze. Quando andavo a scuola mia madre mi accompagnava con la bicicletta, io seduto sul sellino. Poi cominciai a calzare scarpe ortopediche. Avevo ormai quindici anni quando iniziai a frequentare la Bernardino Luini. La scuola era dietro la stazione e anche allora mia madre dovette accompagnarmi: c’era da attraversare il sottopassaggio con la discesa e la successiva salita... Dattilografia si svolgeva al piano superiore: i gradini erano montagne da scalare, l’aula la vetta da raggiungere. Negli anni dell’adolescenza la sera, seduti per terra, con le gambe appoggiate alla ringhiera, fantasticavamo: c’era il boom economico, a Saronno fiorivano molte ditte… ma le giornate mi sembravano vuote e senza un reale scopo: ciò che maggiormente mi mancava era un lavoro. Intanto era sempre più difficoltoso per me camminare. In casa utilizzavo una sedia da ufficio a rotelle. Per poter uscire la sera mi si doveva prendere sulle spalle; poi con la carrozzina ottenni una relativa indipendenza, visto che c’era sempre chi mi spingeva… Il 1981 fu l’anno internazionale delle persone handicappate. Purtroppo l’atteggiamento di molti verso queste persone era ed è di pietismo e commiserazione. Occorre capire che anzitutto si hanno davanti vere e proprie ‘persone’ con diritti e doveri che vanno rispettati. Quell’anno ci si concentrò sulla necessità di eliminare le barriere architettoniche in Saronno. Ci fu una mostra ed un documento che presentammo all’amministrazione comunale. Non mi considero uno scrittore e non voglio insegnare niente a nessuno. L'unico augurio, a chi legge queste pagine, è di poter conoscere parte di me…”. Sono stato da lui domenica mattina; m’è sembrato di vedere un pesce che boccheggiava a riva ma ancora respirava, ancora era attaccato alla vita. C’era una cartolina di Via Garibaldi ed una poesia su di lui: l’uomo dello scarpone che ha scritto ciò che avete ora letto condensato, ‘come in un album’… Gilberto Binaghi se n’è andato lunedì 17 alle 7 del mattino, pochi mesi dopo la morte della sorella, anch'essa malata del Morbo di Duchenne. Ciao Gil.

Sfilata equosolidale del Sandalo Per cambiar vita con un vestito…









Per l’immaginario collettivo una sfilata di moda è un evento riservato ad un’elite che vede i nuovi lavori dei vari ‘maghi’ del settore che subito diventano status symbol da imitare e magari falsificare. Di sicuro non associa etica ad estetica. Cosa che invece ha fatto “Il Sandalo” con l’evento organizzato venerdì 14 nel salone Acli di Vicolo S. Marta con anche la partecipazione del nuovo sindaco Luciano Porro (video su www.pierodasaronno.eu). “Io vesto la stoffa giusta”, sfilata equosolidale con happy hour, presentazione della collezione estate 2010: abbigliamento, bigiotteria ed accessori, ha voluto essere un momento in cui vedere il lavoro di persone provenienti da varie parti del mondo cercando di ragionare sui loro usi e costumi e sul loro modo di interpretare la vita. L’acquisto in questo caso ha voluto dire conoscenza e condivisione, ed anche un modo per sottolineare la cultura che sta dietro la creatività, ma anche l’amore per la natura e la solidarietà per le persone più fragili. Un modo quindi di cercare di cambiare vita cambiando vestito, per cercare di condividere con gli altri quel bisogno di far compere che a volte ci prende quando ci si sente depressi ed incanalarlo verso un progetto di vita togliendolo dal privato e consegnandolo all’immaginario collettivo…

Antonio Roberto Gervasio: storia di un dottore a 360 gradi Da Milano a Parlasco con in testa un casco...

Durante il Rinascimento italiano operarono moltissimi artisti: Giotto, Michelangelo, Leonardo... Sui libri di scuola si legge che è perché vi era l'ambiente ideale. Il dottor Antonio Gervasio, medico del lavoro in pensione, attualmente consulente di molte ditte tra cui la Lu.ve di Uboldo, consigliere ed amministratore delegato della cooperativa sociale Alfa, è cresciuto, secondo noi, nell'ambiente ideale per essere l'uomo giusto al momento giusto. Nato a Milano nel '46, nel '68 era un giovane studente di medicina, già legato sentimentalmente a colei che ancora oggi è sua moglie: Franca Vittani Carissimo. La stessa signora Franca ci ha raccontato dell'incontro con lo studentello barbuto e magrissimo in un campeggio, in ferie, dove lui andò con gli amici in tenda (e facevano un casino bestiale) e lei era con il padre. S'incontrarono lì nonostante abitassero vicini a Milano... Il giovane studente diventò, prima che dottore, un sessantottino idealista impegnato politicamente come tanti suoi coetanei. Ma lui era diverso, il suo idealismo non sfociò in strade sbagliate come per tanti: suo padre aveva conosciuto Gramsci (motivo per cui ancora oggi legge l'Unità tutti i giorni...) e lui scriveva su giornali di quartiere: voleva si cambiare il mondo ma in maniera concreta, un pezzo alla volta.

Fu in quel periodo che capitò con gli amici, in un paesino dell'Abruzzo dove Cristo non s'era fermato: Guilmi. Organizzarono con entusiasmo e gratuitamente quelle che adesso sono le lezioni estive per recuperare i debiti formativi nella scuola del paese. Fu lì che i quattro amici trovarono, nel seminterrato, vecchi temi dei ragazzi che ancora oggi Antonio conserva registrati su nastro per farne, un giorno chissà, un libro che ne parli; che parli di chi scrisse dei genitori che lavoravano come animali e della correzione del maestro in rosso: come negri... o di chi scrivendo di un suo amico 'scemo', dovette leggere questa sprezzante nota del maestro: "non poteva che essere amico tuo!"... Adesso quella scuola di Guilmi, in estate, diventa la casa vacanze della Cooperativa, perché i suoi ragazzi ma anche tanta altra gente possano andare in ferie. Diventato dottore, e poi medico del lavoro, operò per anni a Saronno in Via Fiume nella stessa struttura dove, ai tempi, c'era il Cps ora in Via Don Bellavita. Un altro incontro che cambiò la sua vita: vivere fianco a fianco con malati psichici che interrompevano le visite e lo tenevano allegro, lo portò ad interessarsene sempre di più tanto da entrare nella cooperativa sociale Alfa perché credeva nel lavoro come mezzo per acquistare o riacquistare dignità, gradino importante verso il miglioramento clinico e l'indipendenza personale e sociale. Dopo gravi problemi dovuti alla passata gestione, prese, qualche anno fa, ad interessarsene sempre più da vicino con l'aiuto della moglie Franca e di amici come Laura e Venanzia o Roberto Bianchessi facendo anche personalmente la raccolta differenziata con un vecchio e sgangherato camion, partendo con due, tre ragazzi ed arrivando ad ieri che ce n'erano 60. Alla Lu.ve, dove lo si può trovare all'ufficio "Ambiente & Sicurezza", è riuscito a portare anche i suoi ragazzi vincendo l'appalto due anni fa, senza sconti come sempre. adesso, il loro sogno è trasferirsi a Parlasco, paesino delle montagne sopra Lecco, nella baita del suocero ristrutturata da lui nel senso letterale del termine, cioè con le sue mani, dove c'è anche una casa del Cinquecento piena di tesori, un museo quasi, appartenuta ai Carissimo, la famiglia della moglie, ed i murales di un famoso bandito del posto. Lì c'è uno splendido panorama, castagne e funghi, ma, c'è da scommetterlo, non smetterà mai di portare a testa alta, con dignità e semplicità, assieme al casco giallo, un tesserino con scritto Antonio Gervasio, in tutto uguale a quello di tanti ragazzi socialmente difficili, a tanti extracomunitari senza lavoro nè casa, a ladri ed a puttane; a tanta gente come noi del Clan/destino, che abbiamo lavorato anche in discarica...

Alla ricerca di un mondo perduto Ballando al Polverone, a due passi dalla Cooperativa


“Come tante altre coppie, ci siamo innamorati anche noi al Polverun: se ne stava appoggiato alla stufa, con le mani dietro la schiena, era alto, dritto, bello… io avevo quindici anni, lui diciannove. E’ stato il mio primo moroso e da allora non ci siamo più lasciati. Il sabato sera era la serata di libera uscita, andavamo al cinema, spesso in quello dietro la Cooperativa, dove mio fratello faceva la maschera. Uscivamo un quarto d’ora prima della fine per poter stare un pò insieme…”. Questo tenerissimo ricordo di tanti anni fa è della signora Angela, la moglie di Antonio Monti, figlio del ‘Bigin’. In questa frase c’è però anche qualcosa di più del ricordo di un amore che dura da sessant’anni: racchiude un pezzo di storia saronnese che non c’è più e che abbiamo cercato di evocare. Come quella del postino che passava a quei tempi, a piedi, dal Viale Rimembranze a Via San Giuseppe a cui tanti ragazzi si rivolgevano perché trattenesse a casa sua la loro corrispondenza ‘amorosa’ che sarebbero passati loro a ritirarla lasciandogli un bicchiere di bianco pagato al bar: lo chiamavano “il pancia”, era il padre di Angela. Siamo stati più volte a casa di Antonio ed Angela Monti, dietro il Prealpi, presentati dall’amico comune Flavio Gioia. Lì la città diventa campagna ed è come essere in un altro mondo: la terra, la grande casa colonica, il camino ed una riproduzione del “Quarto stato” di Peliza da Volpedo. E poi i suoi occhi luccicanti, la sua voce che si infervora nel ricordare ed è come essere ancora nel dopoguerra quando il Berger del caffè “Il principe”, dove ora c’è una grande libreria, suonava il violino e tanti lavoratori, che finivano il lavoro alle 16 per carenza d’energia elettrica, ballavano i nuovi balli venuti dall’America. Antonio lavorava ancora all’Isotta Fraschini, Angela studiava da dattilografa. L’Isotta Fraschini chiuse nel ’49 ed Antonio, come tanti, rimase senza lavoro ma, per lui che era anche stato sindacalista, era ancora più difficile trovarne un altro. Allora ebbe una delle sue intuizioni con cui riusciva a vedere lontano e fece il contrario rispetto a tanti italiani: dalla fabbrica passò all’agricoltura, lui che oltretutto veniva dalla Cassina Ferrara da famiglia contadina e sapeva cosa voleva dire arare un campo. Affittò diversi piccoli appezzamenti dietro il cimitero e poi, lui ed i fratelli, comprarono della terra proprio dove l’abbiamo incontrato, costruirono la casa ed Antonio, sfruttando le sue conoscenze di disegno tecnico, ideò macchinari allora rivoluzionari e tutti i contadini, che lo credevano matto, rimanevano poi a bocca aperta nel vedere il suo grano perfettamente distribuito, tutto alla stessa altezza. Nonostante la fatica nel realizzare tutto ciò, non smise certo di ‘fare il sindacalista’, tanto che divenne Presidente della Cooperativa e, la sera, dopo il lavoro nei campi, faceva riunioni e scritturava orchestranti da portare al Polverone che ormai aveva aperto da tempo. E poi ebbe la seconda, grande intuizione della sua vita e lui ed il suo gruppo trasformarono la sala da ballo in una moderna discoteca, l’unica della zona, che pure è in mezzo a tre province… “La domenica pomeriggio da Via Sa Giuseppe alla stazione era tutto un via vai di persone, e poi c’erano i pullman che arrivavano…”. E non arrivavano solo i pullman: dal Polverone sono passati Celentano, Don Backy, Marcella, il saronnese Raf Moltrasio, chitarrista di Renato Carosone, lo stesso Flavio Gioia ed addirittura “quello là dall’Emilia di bandiera gialla”. Erano gli anno d’oro del Polverone ed Antonio faceva anche, a volte, il parcheggiatore ed il buttafuori come quando andò alla stazione a riprendersi una refurtiva e non si spaventò nemmeno di fronte ad una pistola tanto che fu portato tutto indietro, dalle autoradio alle cicche… Un’altra volta fece in modo che venisse arrestato un tipo che entrò con una bottiglia di whishy, erano tempi di proibizionismo (corsi e ricorsi…) ed alla sua ragazza che se ne andò dicendo “che posto di merda che è questo”, lui rispose: “sarà anche un posto di merda, ma tu ti ci sei seduta sopra!”. Poi qualcosa si ruppe, sempre più gente poteva permettersi l’auto e lì di parcheggio “ghe né minga”, un’operazione in Francia, la convalescenza, qualche screzio con chi gestì al posto suo e quindi, irrevocabili, le sue dimissioni. La gestione della Cooperativa passò allora ad Agostino Venieri poi, per un breve periodo, a Claudio Castiglioni. Adesso la “Casa del partigiano” di Via Maestri del Lavoro è diretta da Cesare Zappalà e dedicata al Bigin, il padre di Antonio, colui che quando gli dissero di fare una lista di operai da licenziare perché prima avevano un altro lavoro e quindi, forse, avrebbero avuto meno problemi, pur di non farlo si mise in cima alla lista e tornò a fare il contadino tanto che anche Giuseppe Radice ha scritto in una sua poesia: “N’ha faa de voltà tèrra ‘sto Bigin”. La nascita della Cooperativa risale al dopoguerra nella storica sede di Via San Giuseppe presso la Società di Mutuo Soccorso. A quei tempi, grazie all’attività prevalente di circolo di consumo, contribuì a soccorrere le famiglie dei deportati e dei perseguitati e poi, durante il centrismo, quelle degli ex partigiani espulsi dalle fabbriche. Come allora, è un centro di aggregazione sociale, impresa condivisa con l’Auser, associazione di volontariato che si occupa degli anziani ma non solo, e con la Cgil. L’ubicazione è l’edificio di una fabbrica tessile dismessa, l’ex Sts, che è stato messo a disposizione, tramite una convenzione, dall’Amministrazione Comunale del sindaco Gilli e ristrutturato dalle risorse della Cooperativa. Al suo interno sono tornati ad operare i “Briganti”, circolo culturale giovanile, dopo l’incendio della loro vecchia sede all’Ex Pretura e l’interludio in un’aula dell’ex Pizzigoni, ci sono corsi di danza e di ballo, di yoga e di pittura ed, al sabato sera, si balla anche se ormai i magici tempi del Pulverun, l’Arci Dancing Giardino d’inverno, sono finiti. Resta il ricordo che diventa leggenda, la leggenda di persone che hanno attraversato il secolo scorso ed i suoi momenti peggiori, lavorando moltissimo ma riuscendo anche ad occuparsi degli altri, con nel cuore dei grandi ideali che li hanno fatti entrare di diritto in quel quadro vicino al camino, dietro al Prealpi, dove la città diventa campagna ed è come essere in un altro mondo.

A due passi dall'Auchan Storia di una puttana perbene

Un centro commerciale è un grande contenitore. Come per un computer, ha degli input in ingresso e degli output in uscita: tante cose, tante persone, tanti desideri che si concretizzano, tanti momenti passati a consumare la vita magari prendendo il fresco dato dall'aria condizionata. A Rescaldina l'apertura dell'Auchan ha cambiato la vita di molti anche se ha inaridito il paese, ma è questione di punti di vista, di scenografie che si sovrappongono in dissolvenza come certe pubblicità.

E' in questo contesto che si svolge la storia che andiamo a raccontarvi mentre sorseggiate un caffè od aspettate il treno.

E' la storia di una puttana con cui una mattina abbiamo condiviso il momento della colazione nel bar sotto casa nostra salutandoci con un certo imbarazzo essendoci solo noi due appoggiati al bancone. Più tardi, andando al lavoro, l'abbiamo notata ai bordi della strada, a due passi dall'Auchan e da una stradina che si perde nei boschi il cui stato di degrado è documentato dalle foto a corollario dell'articolo. Era lì, vestita normalmente, con un fisico normale, anzi forse un poco abbondante: un'immagine ben diversa dallo stereotipo della meretrice, sguaiato, appariscente e, soprattutto, diverso dal nostro. Era lì ad adescare clienti mentre un attimo prima aveva in mano cappuccino e brioche. Proprio come noi, proprio come se fosse una di noi. Da quel giorno l'abbiamo rivista altre volte e, a volte, l'abbiamo superata con la macchina mentre lei s'avviava a piedi con aria triste. Chissà, forse abita nei paraggi, abbiamo pensato. Poi, una mattina che eravamo in ferie, siamo passati di lì con l'ormai inseparabile macchina fotografica, abbiamo imboccato quella stradina con la curiosità bambinesca di chi vuol sapere dove va una strada ed abbiamo scattato le foto le vedete finchè, finalmente, raccolto il coraggio necessario, abbiamo accostato vicino a lei, le abbiamo detto chi siamo e cosa volevamo. Lei, senza fare una piega, ci ha detto che ci avrebbe raccontato tutto ciò che volevamo sapere, bastava che monetizzassimo il tempo che ci avrebbe dedicato: 50 euro, trenta minuti. E così è stato. "Sai, non penso che ti ricordi ma abbiamno bevuto un caffè insieme,,," "Non saprei, ne vedo di gente io!" "Abiti qua vicino? T'ho vistab arrivare a piedi,,," "No, vengo da Rho: prendo il treno fino a Legnano poi il pulman per la Bassetti,,, " "Quanto m'avresti chiesto se avessi voluto scoparti?" "30 euro bocca e fica, per 50 t'avrei dato anche il culo ma non t'avrei baciato. Il bacio no, sarebbe come vendere anche i sentimenti...Con 100 euro saremmo andati anche in un motel che avresti pagatoi tu naturalmente. Tutta la mattin aalmeno 200..." "Perchè batti di mattina?" "Perchè a casa ho una figlia disabile; me la guarda una signora per 17 euro all'ora che pago settimanalmente" "E tuo marito?" "M'ha lasciata trent'anni fa (la 'bambina' ne ha 31 anche se, celebralmente, è come se ne avesse 6) dopo tante botte ed umiliazioni" "E la famiglia?" "Non ho più nessuno: ero figlia unica..." "Quanti soldi guadagni mediamente?" "A volte faccio anche solo 20 euro come oggi che sono 'indisposta' ed anche un cliente abituale, uno di quelli che ha anche il mio numero, se n'è andato; lui vopleva scopare ma io non potevo. Meno male che sei arrivato tu così forse potrò quasi pagare la bolletta della luce che è già scaduta da due giorni" "Non l'hai sempre fatto qui vero?" "No, prima ero dietro il cimitero di Busto ma poi i carabinieri m'hanno fatta sloggiare perchè lo facevo proprio davanti ad un altro centro commerciale che hanno aperto. E poi c'era il bosco..." "T'hanno mai picchiata?" "In agosto un marocchino m'ha rapinata, ma avevo solo 20 euro...ho dovuto però rifare tutti i documenti" "Abusi sessuali di qualsiaisi tipo" "Francamente no" "Hai mai cercato un altro uomo?" "E chi mi vorrebe a me? Sono ormai trent'anni che faccio questo lavoro...". "Ed hai sempre guadagnato così poco?" "No,ai tempi guadagna molto di più: ci ho anche saldato tutti i debiti..." "Allora la casa è tua" "No, sono in affitto: 450 euro al mese" "Lo faresti un altro lavoro?" "Certo, ma per tutti se hai cinquant'anni come me sei tgroppo vecchia" "Quali sono le tue speranze?" "Ma, non dover dare tutti quei soldi alla badante di mia figlia, adesso forse tramite i servizi sociali...adedsso però torniamo indietro che spero di fare altri 20 euro per pagare quella bolletta" "Va bene". Era già passata mezz'ora e qualcosa avevamo avuto anche noi pescando vicino a quel gran contenitore che è un centro commerciale...

Se vincessi al Superenalotto… “Affitterei l’Esselunga per due settimane con apertura gratis ai pensionati” Le dichiarazioni dell’uomo con la 500 rossa

Questa è una storia che parte da una fabbrica: tanti operai, tanti camion che entrano e che escono, tante persone che si muovono, chi formica, chi leone… Questa è una storia che parte una sera, poco prima dell’uscita, davanti all’entrata di una palazzina, dove s’erano riuniti alcuni operai che, finito il lavoro, occupavano gli ultimi minuti della settimana in chiacchiere. “Avete visto? 90 milioni di euro per il 7!” “Già, io mi comprerei un’isola e la riempirei di donne bellissime, tutte ai miei piedi!” “Io farei il giro del mondo!” “Io…” “Io affitterei l’Esselunga per due settimane e la terrei aperta giorno e notte perché tutti i pensionati possano fare tranquillamente la spesa gratis!” “?” Nessuno l’aveva visto, s’era avvicinato silenzioso dopo essere sceso dal suo camion, anche lui a fine giornata. Lo riconobbero tutti, era il camionista che arrivava con una vecchia 500 rossa tutta luccicante, che sembrava sempre appena uscita dalla concessionaria. “Si, affitterei l’Esselunga. A cosa mi servono i soldi? Ne ho abbastanza, ho il frigo stracolmo e tutte le comodità. Sapete, settimana scorsa ero là con mia moglie a fare la spesa. Davanti a me c’erano due vecchietti. Io li vedevo: si sono fermati alla fine della prima campata e non avevano ancora messo niente nel carrello. Parlottavano tra di loro. Poi ho sentito lui quando lei ha preso del radicchio: “Ma hai visto quanto costa?” e lei l’ha messo giù. Io intanto seguivo mia moglie, ogni tanto li sorpassavo, ogni tanto li avevo di fianco, ogni tanto mi sorpassavano. Si sono fermati al banco del pesce e l’hanno solo annusato, a quello della carne idem. Allora non ce l’ho fatta più: mi sono avvicinato ed ho detto alla signora: “Signora, non si offenda e faccia come le dico. Riempia tutto il carrello, lo faccia stracolmo e poi m’aspetti alla cassa numero 10. Pago io per voi e, mi raccomando, si ricordi del radicchio!” “Lei m’ha guardato incredula, ha dato uno sguardo speranzoso al marito ed ha detto “va bene…” piano. Alla fine dei giri di mia moglie, siamo finalmente arrivati alle casse. Mi sono avvicinato a quella numero 10. Erano l’ha che m’aspettavano con il carrello pieno a metà” “Signora, poteva riempirlo di più…” “Non volevamo approfittare troppo, lei è stato così gentile…” Ho fatto la coda, ed ho pagato loro il conto: 86 euro: chissà quanto tempo era che non facevano una spesa così…” Mia moglie m’ha guardato e m’ha detto: sei proprio mezzo matto!” ma io sono andato a casa bel contento. Da ragazzo guadagnavo bene anche se ho fatto un periodo che ho patito anche la fame. So cosa significa. Una volta sono tornato ed ho trovati i ragazzi del mio condominio che parlavano delle giostre vicine… non potevano andarci perché mancavano i soldi. Allora ne ho caricati 15 in macchina ed ho fatto fare loro più di un giro. Alla fine erano felicissimi! ”Sapete”, ha poi proseguito, ve ne racconto un’altra: “Avevo un amico che stava bene, era ricco. Poi gli è morta la moglie ed il figlio e la nuora gli hanno detto: “Papà, adesso che sei rimasto solo, ti facciamo un appartamentino tutto per te in cantina” “va bene” ha detto lui. Poi, dopo un po’, gli hanno detto: “Sai, a … c’è un istituto per anziani che è una favola!” e lui “va bene” Poi m’ha chiamato: erano mesi che non li vedeva e m’ha detto: “Gliel’ho combinata grossa a quei due!” Senza aggiungere altro. Mesi dopo trovai il figlio in comune che faceva domanda per una casa popolare: non aveva più niente, nè lui né la sua grassa signora. Il padre l’aveva davvero combinata bella: aveva venduto tutto ed era andato in Sudamerica a spassarsela…”. Mah, chissà se è vero: dopotutto è solo una storia che parte da una fabbrica: tanti operai, tanti camion che entrano e che escono, tante persone che si muovono, chi formica, chi leone. Ma lui adesso lo chiamo Schumi…

Una domenica bestiale con imbianchini e burattini…






La dimostrazione di protesta di cui vi parlavamo settimana scorsa c’è stata. Domenica 18, in pieno centro, tra la curiosità dei passanti e di chi usciva da messa, gli esponenti di Uniti nel Centro Sinistra per Turate, a cominciare dai due consiglieri comunali Cosetta Garavaglia e Marco Tenconi, si sono vestiti da imbianchini, con tanto di cappello di carta e rullo, esponendo numerose foto di ciò che è avvenuto nella notte tra venerdì 9 e sabato 10 quando tutta Turate, compresa la casa della Garavaglia, è stata tappezzata di Alberto da Giussano e sui muri di diversi edifici sono comparsi cartelli abusivi riconducibili al gruppo consiliare Pdl-Lega Nord. Il fatto curioso è che, in contemporanea, si svolgeva, anche se sul sito comunale compare “nessun evento per questo periodo”, la manifestazione, senz’altro condivisibile da tutti, ripuliamo il verde organizzata proprio dalla Lega. “In quel momento c’è però parsa una presa in giro…” ci ha detto la Garavaglia, che ha anche aggiunto: “ma di contraddizioni la vita politica turatese è piena. Il consiglio comunale di venerdì 16 per esempio è iniziato molto bene con dichiarazioni di apertura e di dialogo subito rimangiate però dai fatti. Le mozioni presentate dal’opposizione tutta affinché rappresentanti di ogni gruppo consiliare facessero parte di tutti i Cda di enti e società controllati dal Comune senza che vi partecipi invece il segretario comunale, per evidenti conflitti di interessi, sono state subito bocciate senza spiegazioni. Andrea Fiorella, il segretario comunale, continuerà quindi ad essere anche l’amministratore della farmacia per esempio, farmacia che ha uno strano statuto per cui è stato possibile, con gli utili dell’esercizio, costruire la caserma, tra parentesi interamente a carico di Turate anche se servirà anche Rovello e Rovellasca. Se uno di noi fosse stato in quel consiglio d’amministrazione avrebbe chiesto che quei soldi venissero messi a disposizione di attività socialmente utili. La stessa cosa sarebbe successa se fosse stata approvata la mozione che prevedeva una diminuzione degli emolumenti a sindaco ed assessori. Ma così non sarà… Mi sembra che il messaggio sia forte e chiaro: noi siamo i padroni e facciamo quello che vogliamo, abbiamo i numeri per farlo”. “Già, anche se c’è stato chi mi ha detto di vergognarsi di aver votato per il Carroccio...” ha concluso il Tenconi.